(di Bernardo Pasquali). Il 27 agosto, solo 8 giorni fa, i giornali riempivano le pagine con lo scandalo del ritiro delle “uova allevate a terra”. Molte le aziende di produzione coinvolte; da Cascina Italia a Latteria di Chiuro, Ovonovo, Lactis, Smart, Delizie del Sole, Amadori, Gesco, Conad, Del Campo, Eurospin.
I brand sono molti anche se alla fine il lotto di produzione proviene da un unico produttore, Cascina Italia S.p.A.. Il testo della documentazione del richiamo esplicita “RICHIAMO A SCOPO CAUTELATIVO PER SOSPETTA CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA”, quindi siamo ancora nel campo del dubbio. Quanto scatenato dai 32 avvisi di richiamo da parte del Ministero della Salute (mai così tanti in una sola volta) ci deve far riflettere su una parola molto importante che deve riguardare il consumatore: la consapevolezza.
Cosa significa “uova allevate a terra” e le diverse tipologie in commercio
Ci sono varie categorie di uova in commercio che si distinguono sula base della tipologia di allevamento per la loro produzione. Partiamo dalla condizione di maggior “oppressione” dell’animale: le uova da allevamento in gabbia o batteria (codice 3). Si tratta di un allevamento effettuato esclusivamente in gabbie di filo di ferro alte almeno 40 cm, con una superficie di 750 cm² per singola gallina (circa 14 per m²) – D.lgs 267/2003 (benessere animale avicolo). Le gabbie si sviluppano su una lunghezza di 10 metri, sulle quali è disposta una vaschetta per l’acqua e il mangime. La luce non è continua ma viene ad intervalli che permettono all’animale di poter riposare dopo ogni covata.
Uova allevate a terra (codice 2). Sono quelle oggetto del ritiro. Le galline ovaiole si possono muovere liberamente su un pollaio che deve avere una densità massima di 7 unità per mq. Il pavimento deve essere sparso per almeno un terzo della superficie di granaglie per permettere all’animale di becchettare e nutrirsi autonomamente. La covata delle uova avviene in nidi comuni. L’acqua e il mangime si trovano in vaschette uguali a quelle usate per l’allevamento in batteria. Il contatto delle feci e deiezioni con le granaglie è inevitabile e il rischio di contatto con le superfici dei gusci è molto più alta nelle uova allevate a terra.
Uova allevate all’aperto (codice 0). Rispetto alle uova allevate a terra, gli spazi aumentano e la costrizione in spazi angusti e mai completamente puliti è decisamente inferiore o totalmente annullata. In un ettaro di superficie si possono tenere fino a 2500 polli, che significa massimo un animale per 4mq. E’ la soluzione che rispetta al meglio il benessere animale. la stalla comune oggi è sostituita da piccole casette disperse sulla superficie dell’area esterna e permettono di fare le uova in nidi comuni più controllati e puliti, nel rispetto totale dei ritmi biologici e vitali delle galline ovaiole.
Uova da allevamento biologico (codice 1). E’ la condizione ideale per la vita dell’animale che produrrà le uova di migliore qualità. Lo spazio in cui sono presenti le galline ovaiole deve presentare anche uno stagno e poi, per quanto riguarda, la sua struttura è simile a quello all’aperto. Tutti i prodotti per l’alimentazione sono Bio, non si possono usare additivi, farine di pesce, aminoacidi sintetici o mangimi geneticamente modificati. Nel pollaio deve essere sempre presente il gallo e i pulcini devono provenire anch’essi da allevamenti biologici.
Il rischio biologico esiste!
Probabilmente il 27 agosto quando sono state pubblicati i richiami, molta stampa e, di conseguenza, i consumatori, hanno gridato allo scandalo, additando tutte le colpe verso i produttori, come fossero degli “untori”. Aziende come quella in questione, non possono essere tacciate frettolosamente di inesperienza, superficialità o, peggio ancora di complicità. Si tratta di realtà con oltre trent’anni di vita e di esperienza sul mercato, con referenze riconosciute da tutti i loro partner acquirenti e con tecnologie di controllo all’avanguardia. Non dobbiamo sempre pensare che i produttori facciano di tutto per fregarci…è un errore grossolano e uno scaricabarile troppo facile!
Le uova allevate a terra hanno un rischio biologico elevato e questo comporta un fattore di contaminazione molto più insidioso. Certamente ci sarà stata qualche errore da parte di chi deve garantire la salubrità, una filiera che non dipende solamente da chi produce ma anche da chi vende e va a contatto con il cliente finale. Ma a parte tutto questo l’errore è a monte: il consumatore è consapevole che basta una parolina magica per far cambiare l’appeal di un prodotto e renderlo più “sicuro” e “coscienzioso”?
Claiming e suggestione alimentare
Quando vi trovate davanti agli scaffali strapieni di uova differenti come vi comportate? Leggete le etichette? Ne fate solo una questione di prezzo? Vi lasciate condizionare dalle frasi scritte sulle confezioni? quante volte scegliete “uova allevate a terra” rispetto a nessuna dicitura?
Chi fa il mercato siamo noi e, purtroppo, la nostra creduloneria (un fattore che concettualmente fa rima con ignoranza). Il mercato ha a disposizione un’arma a doppio taglio che è il claim ovvero lo slogan, il messaggio ad effetto che deve indurre il consumatore a perfezionare e condizionare definitivamente la sua scelta. Da quando è nata la dicitura “uova allevate a terra”, il consumatore si è sentito maggiormente parte di una confort zone dove, da una parte preservava il benessere animale e, dall’altra preservava la sua salute.
Si perchè pensare a delle galline che possono razzolare, muoversi, becchettare e anche sbattere le alette, in una condizione solo di poco migliorata, avrebbe dato certezza di maggiore qualità. Esatto qualità! Alla fine il claim ha raggiunto il suo scopo. Uova allevate a terra = maggiore qualità. Quindi le compro.
Purtroppo però non si pensa che le stalle non sono ambienti puliti, le galline becchettano le granaglie purtroppo anche sporche delle loro deiezioni, le uova che non vengono depositate nei nidi comuni magari rimangono a contatto con il suolo sporco di feci e deiezioni. Inoltre non sempre i nidi sono mantenuti integri. Ah non pensiate che le galline ovaiole nelle stalle (7 per mq) siano felici e non vivano comunque in condizioni di attenzione igienica.
Impariamo a difenderci da soli
In Italia siamo fortunati. I controlli sono molti e funzionano. Il nostro sistema produttivo è uno dei più controllati al mondo e i nostri produttori si distinguono nel mondo per la qualità e la salubrità dei prodotti. Quindi fidiamoci perchè la filiera è sicuramente protetta rispetto a molti altri paesi industrializzati. Ciò significa che, finché mangiamo italiano e Made in Italy io, una mano sul cuore, ce la metto. Poi rimangono le situazioni dove serve la nostra consapevolezza, la nostra voglia di approfondire e di conoscere.
Ci perdiamo troppe volte in disquisizioni nutrizionali, con contrapposizioni più o meno velate tra vegani e onnivori, tra vegetariani e fruttariani. Scuole di pensiero che però non c’entrano nulla con la sicurezza alimentare. Di questo abbiamo bisogno tutti i giorni. Cosa mettiamo in bocca? La materia prima o le idee? Peggio ancora se fossero speranze…speriamo che non faccia male. Perchè queste situazioni non diventino anche colpa nostra, è meglio diventare soggetti attivi della filiera, per spostare i consumi verso prodotti sempre più etici (parola sempre più quotata) ma soprattutto sani e a basso rischio biochimico. Tocca a noi!