(di Enzo Russo) Una vita passata fra un aereo e un altro; un giro del mondo continuo che portava Loris Biatta – titolare de Le Marchesine, nel cuore della Franciacorta – dalla Russia, al Giappone, al Brasile per seguire i suoi investimenti e l’export di questa maison lombarda dalla crescita costante a due cifre l’anno, con una quota di internazionalizzazione via via sempre maggiore. «Non va bene, è arrivato Corona Virus e senza preavviso ci ha licenziati, tutti a casa…»
Un fulmine a ciel sereno che ha colto Le Marchesine – 500mila bottiglie l’anno – in una fase di passaggio nel pieno della costruzione di una nuova cantina con un investimento di oltre 5 milioni di euro. Una struttura, moderna e multifunzionale, al passo con i tempi che sarà in grado di soddisfare un mercato sempre in evoluzione, come quello del turismo enogastronomico, nasce a fianco di quella storica e dovrebbe essere inaugurata verso fine anno.
Quali sono i rischi che sta correndo la sua azienda e cosa sta facendo per sopperire alle mancate vendite nei bar, ristoranti, enoteche ed alberghi ?
I rischi sono molti, ma penso sia così anche per le altre cantine. Fortunatamente l’azienda è sana e noi siamo tranquilli, perciò abbiamo la possibilità di ripresa. Per adesso ci siamo organizzati per fare delle consegne con vendite on line rivolte ad alcuni settori che hanno la possibilità di rimanere aperti”.
Come è cambiata la sua vita nel quotidiano e come trascorre le sue giornate, visto che non può più spostarsi se non all’interno della azienda?
“La mia vita è cambiata completamente, è stata stravolta. L’aereo era diventato la mia casa. Mi addormentavo a Milano e mi risvegliavo a New York oppure a Rio de Janeiro o in Canada ad Ottawa, insomma sempre in giro a promuovere le mie bollicine. Sono passato dall’essere uomo di mondo all’uomo di casa e questo in un certo qual modo è positivo perché in questi giorni riscopro il calore della casa, della famiglia con i miei figli e nipoti, di mia madre che mi segue come si fossi ancora un bambino. Stare in azienda è come riscoprire antichi lavori, lavorare la terra e curare i vigneti, andare in cantina e vedere pile di bottiglie che riposano in penombra in attesa di dare allegria sulle tavole. Tante cose dimenticate per la frenesia del lavoro e che oggi fa piacere, come per esempio coltivare l’orto o prendere il trattore per fare dei lavori di manutenzione e fare vita all’aria aperta dove il profumo della campagna penetra nei polmoni, è bello respirarla. Sto riscoprendo quanto è bella vita in campagna”.
Cambierà qualche cosa nelle strategie di vendita?
Al momento è difficile pensare a dei cambiamenti, anche perché non sappiamo quanto durerà questa epidemia e in quale forma ci sarà la ripresa delle attività. Speriamo che il Governo con la Regione Lombardia sappiano prendere delle decisioni rapide per dare la possibilità a tutti di riprendere a lavorare, come la riapertura del canale horeca. Mi augurò che avvenga prima dell’estate, almeno riusciamo a vendere i nostri vini, altrimenti bisognerà prendere altre strade che potrebbe essere quella della GDO. Ma al momento lo escludo. E poi pensare alla vendemmia, cercare le persone che vengano a raccogliere le uve, la loro sistemazione, mangiare e dormire. Tutti problemi logistici da risolvere. Ma in quale modo? Dobbiamo pensare al domani, non al futuro”.
Sarà tutto come prima?
“No credo, dovranno passare alcuni anni per ritornare alla normalità, ma certamente cambierà il nostro stile di vita”.