È ormai la tipologia di vino più consumata in Italia e nel Regno Unito (e presto anche negli Usa), la più presente sulle tavole dei ristoranti del Belpaese, quella più avvantaggiata – assieme agli sparkling – dal cambiamento climatico e all’approccio femminile alla bevanda. Ma soprattutto è una leva fondamentale per l’export del prodotto enologico made in Italy. Il vino bianco fermo italiano, con un valore di 1,287 miliardi di euro l’anno, è infatti il più venduto al mondo e fa meglio della Francia (1,276 miliardi) – che ci sovrasta sui rossi e sugli sparkling -, di Nuova Zelanda, Spagna, Germania e Australia. È quanto emerso oggi da un’indagine Nomisma Wine-Monitor al convegno ‘Bianco come il vino’, organizzato dall’Istituto marchigiano di tutela vini nell’ambito di Collisioni Jesi.
Secondo il focus presentato in occasione dei 50 anni della Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi, la ‘sindrome da secondogenito’ non vale per il vino bianco fermo, e lo dimostrano i dati degli ultimi 5 anni, in cui gli ‘still white italian wine’ esportati hanno risentito meno del boom delle bollicine (+88%) e sono cresciuti del 26% a valore contro +16% dei rossi. Un trend frutto del successo dei consumi in Europa ma soprattutto in Nord America, dove nell’ultimo decennio la richiesta a valore è lievitata del 73%. Stati Uniti (36,6%), Germania (16,5%) e Regno Unito (14,2%) sono i 3 principali buyer su cui si concentrano i 2/3 delle vendite made in Italy, nettamente primo Paese esportatore per volume e primo anche a valore nonostante un prezzo medio (2,80 euro al litro) molto più basso dei propri competitor (Nuova Zelanda a 4,93 euro al litro e la Francia a 4,69). Anche in patria l’Italia si scopre sempre più ‘bianchista’, sia nei consumi (40,1% contro il 39,8% dei rossi) che in vigna, con il rapporto bianchi/rossi nella produzione vinicola ribaltato nell’ultimo decennio: oggi infatti il 54% del vino prodotto è bianco, più o meno la stessa quota che era dei rossi/rosati.
Per il responsabile di Nomisma Wine-Monitor, Denis Pantini: “Sebbene i vini rossi rappresentino ancora la tipologia più consumata al mondo con circa il 55% dei volumi totali, negli ultimi anni i bianchi hanno registrato dinamiche di crescita più rilevanti. Questa crescita generalizzata risulta trainata da nuove tendenze e modalità di consumo contraddistinte dalla ricerca di prodotti più versatili e da consumare in particolare fuori casa. L’aumento della diffusione dei consumi di vino tra le donne – ha concluso – rappresenta poi un altro «fattore propulsivo» per la tipologia”. E proprio nel fuori casa, secondo il rapporto di Wine Monitor i bianchi fermi battono i rossi anche in Italia, risultando i più consumati al ristorante e secondi solo agli sparkling nei wine bar, con i rossi che restano leader nei consumi casalinghi, anche se gli acquisti in Gdo parlano di un +14% di vendite a valore dei vini bianchi nell’ultimo lustro (a 666 milioni di euro) contro un +7% per i rossi (858 milioni di euro).
La carta vincente, anche per il futuro, sembra essere infine quella degli autoctoni, con il 45% degli italiani che li elegge vini del futuro al pari di quelli green (biologico, 38%, sostenibili, 18%). “I vini bianchi stanno dimostrando tutta la loro versatilità – ha detto il direttore dell’Istituto marchigiano di tutela vini, Alberto Mazzoni – e quelli italiani piacciono perché sono in gran parte frutto di uve autoctone molto diverse tra loro e in grado di far scoprire tutta la varietà e le diverse caratterizzazioni del nostro vigneto. Con il Verdicchio, che fa della versatilità la propria arma vincente, abbiamo lavorato molto anche sulla sua longevità: i risultati sono sorprendenti per freschezza e struttura ma soprattutto perché si prestano ad abbinamenti impensabili fino a qualche tempo fa”.