Lo chiamano “il vino dell’attesa”, perchè per berlo occorre aspettare almeno 10 anni, ma anche “il vino per gli altri”, perchè da sempre lo si produce per il prossimo, inclusi coloro che verranno dopo di noi. E’ il Vino Santo trentino, un prodotto particolarissimo, legato come pochi al suo territorio d’origine – la Valle dei Laghi – e alla Nosiola, l’uva autoctona che soprattutto in quest’area trova la sua zona d’elezione. A questo vino la Cantina di Toblino, ha dedicato di recente una straordinaria degustazione verticale che ha abbracciato un arco temporale di oltre 50 anni, spaziando dall’ultima annata in commercio, il 2003, a quella della prima vendemmia della Cantina stessa, il 1965. “Il Vino Santo era il farmaco delle famiglie, un vino che si faceva non per soldi, ma per propria soddisfazione” ha raccontato Enzo Merz, giornalista e Gran Maestro della Confraternita della Vite e del Vino Trentino “Un vino che però dimostra anche la grande versatilità della Nosiola, un’uva che si trasforma nel tempo con risultati decisamente interessanti: è capace di dare sia un vino secco giovane e fresco, che un vino dolce da lungo invecchiamento”. Nel 1965 vennero messi in appassimento appena 100 quintali di Nosiola, mentre primo imbottigliamento avvenne nel 1968, in bottiglie renane da 0.75 cl, con il tappo ricoperto da ceralacca rossa. Da allora la Cantina di Toblino non ha mai smesso di produrre Vino Santo. Fedeli alla tradizione del “vino per gli altri”, fin dalla prima vendemmia accantonarono 100 bottiglie per annata, una lungimiranza che oggi permette di fare degustazioni comparative con risultati sorprendenti: “Finora – ha infatti affermato l’enologo Lorenzo Tomazzoli, kellermeister della Cantina dal 1982 – non abbiamo mai trovato vini in fase di declino”. Davanti ad una platea di enologi e di giornalisti specializzati, le sette annate in degustazione – 2003, 2000, 1990, 1984, 1978, 1971, 1965 – hanno mostrato non solo l’incredibile longevità del Vino Santo, ma anche la complessità di profumi e sapori di un vino che oggi, purtroppo, non riesce a ottenere dal mercato il riconoscimento che meriterebbe: troppo piccola la produzione (appena 20 mila bottiglie da mezzo litro, ad opera di un ristretto gruppo di cantine, riunite nell’Associazione Produttori del Vino Santo trentino), troppo limitata la loro diffusione. Eppure non ci sarebbe prodotto più rappresentativo di questo in un territorio che ogni anno accoglie turisti dal tutto il mondo. “Noi stiamo cercando di far evolvere la Nosiola da banale vino bianco, a bianco di grande espressività – ha detto il presidente della Cantina, Bruno Lutterotti – . La Cantina di Toblino é convinta che questo vino sia rappresentativo della valle dei laghi, e abbiamo in progetto di riuscire a creare un disciplinare DOCG in modo che il Vino Santo possa essere riconosciuto dal consumatore come identificativo della valle” .
Cantina di Toblino è una realtà cooperativa composta da 800 soci che gestiscono 500 ettari di vigneto. Fondata nel 1960 da un gruppo di viticoltori che intravvidero grandi potenzialità nell’area che circonda il lago di Toblino, già di secolare tradizione viticola, si trova poco distante dal lago e dal suo castello, in mezzo ai vigneti del Piano Sarca. Ad oggi, Cantina di Toblino produce vini bianchi, rossi e rosati, fermi e spumanti sia da uve autoctone che da vitigni internazionali e si qualifica come il principale produttore di Vino Santo Trentino, (c.a 10 mila bottiglie da 0,500 l/anno); inoltre, di recente ha avviato la conversione al biologico della sua produzione.
Il Vino Santo trentino viene prodotto con uva Nosiola raccolta manualmente in cassettine nella seconda metà di ottobre e subito portata in cantina. Qui viene stesa ad appassire sui tradizionali graticci della vinsantaie, un ampio locale, in genere con direzione sud-nord, dotato di finestre attraverso le quali soffia l’Ora del Garda, il tipico vento che dal Lago omonimo soffia tutti i giorni, con forza costante, da sud verso nord. Il periodo di appassimento è uno dei più lunghi a cui venga sottoposta un’uva, perchè si protrae fino alla Settimana Santa, quando i grappoli vengono pigiati: il mosto, illimpidito per sola decantazione statica, viene poi travasato in botti più o meno grandi, a seconda della quantità, e lasciato fermentare fino a settembre. Con l’avanzare dell’autunno e dell’inverno e il progressivo abbassarsi delle temperature la fermentazione si interrompe: nella primavera successiva il vino viene travasato e rimesso nuovamente in legno. Sarà pronto dopo molti altri travasi, e anni: almeno 10. Un’attesa che vale ogni stilla di questo vino, tanto raro quanto prezioso