(di Ilenia Nordera* ) Si è da poco tenuta, a Norimberga, la trentaseiesima edizione di Biofach, la fiera mondiale più importante dedicata al settore agroalimentare biologico, specchio di un mercato che si trova oggi ad affrontare sfide diverse, ma che si rivela una risposta alle crisi geopolitica e climatica in atto.
La fiera ha riunito 2300 espositori da 94 paesi nel mondo e attirato più di 24.000 visitatori; un’edizione diversa rispetto a quella del 2020 in cui gli espositori erano 3792, provenienti da 110 paesi; ma in linea con le aspettative visto il periodo estivo, il concomitante problema della confusione nei voli aerei e la vicinanza con la prossima edizione “tradizionale” a Febbraio 2023.
Il mercato del biologico ha conosciuto per più di 10 anni una crescita costante. Il suo valore, secondo un’analisi effettuata da Fibl (Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica) in collaborazione con IFOAM (Federazione delle associazioni del biologico) ha raggiunto i 120 miliardi nel 2020 a livello mondiale e 52 miliardi solo in Europa, con un aumento del 15% dal 2019. I mercati principali per importazione sono Usa, Europa e Cina.
L’Italia gioca un ruolo di leader nel settore per numero di operatori (94 mila), al secondo posto per valore dell’export (2,9 milioni di euro) e, con oltre 2,2 milioni di ettari coltivati a bio, vanta la percentuale più alta di superfici bio sul totale, il 17,4%, contro il 10% di Germania e il 9% di Spagna e Francia, mostrandosi vicina all’obiettivo del 25% fissato da Europa2020.
Il mercato bio italiano vale 4,6 miliardi di euro, trainato dall’ortofrutta che ne rappresenta la categoria più acquistata (46,1%, secondo i dati Nomisma 2022). Le vendite totali di ortofrutta biologica fresca sul mercato italiano valgono 774 milioni (2020), il 5% sul totale dell’ortofrutta.
Oltre alla recente approvazione della legge sul Bio, il nostro Paese ha previsto fondi, a supporto del settore, per 2 mld di euro, per la programmazione 2023-2027 della nuova Pac; le superfici coltivate a bio crescono in modo disomogeneo tra le regioni italiane per le diverse scelte attuate localmente e per gli impegni dei Psr. Quattro regioni hanno già raggiunto l’obiettivo del 25% di superficie bio sul totale (Calabria in testa con più di 1 campo su 3 bio, Sicilia, Toscana e Lazio). Dal 2015 al 2021 sono aumentate anche le risorse stanziate per il Veneto, dove l’agricoltura biologica è in crescita con oltre 48.000 ettari (+25% rispetto al 2020), di cui 5000 sono dedicati all’ortofrutta.
Oggi, in un contesto segnato dall’incertezza delle conseguenze della guerra in Ucraina, dall’aumento dei costi delle materie prime e da un livello di inflazione all’8%, dopo 13 anni di crescita, anche un settore con alte potenzialità come il biologico, rallenta (-1,9% a valore, -2.9% a volume).
Cresce il suo ruolo politico – ambientale, cresce l’offerta ma frenano i consumi e il suo valore di mercato; in un clima di generale sfiducia, con la diminuzione del suo potere d’acquisto, il consumatore è costretto a rivedere le proprie abitudini e priorità, modificando la quantità e talvolta la qualità di quello che acquista. La situazione si è evoluta velocemente e oggi il settore richiede una pronta reazione di tutti gli operatori coinvolti per seguirne il cambiamento.
Come è evidente, ha lasciato la sua condizione di “nicchia privilegiata” e il suo ridotto numero di consumatori fedeli con disponibilità economica e filosofia di vita coerenti, serviti dai negozi specializzati, per muoversi verso la distribuzione moderna (che oggi concentra il 56% delle vendite) e a favore di discount e punti vendita alternativi (e-commerce, mercati rionali ecc..).
Per non rischiare che il prodotto biologico possa uscirne “dequalificato”, poco differenziato e coinvolto in misura eccessiva dalla pressione della leva prezzo, è importante che si creino soluzioni di vendita diverse, più spazi dedicati al biologico con un’attenzione particolare ad esaltarne le caratteristiche originali e i tratti distintivi, mantenendo prezzi sostenibili per i produttori.
Con l’aumento delle vendite nella grande distribuzione, si è allargata la platea dei potenziali clienti e così sono cambiate le loro aspettative e le lore esigenze informative. L’acquisto di prodotti biologici è correlato ad un determinato stile di vita e il consumatore mostra un atteggiamento proattivo di maggior rispetto per l’ambiente, per contrasto alla crisi climatica, più attenzione alla sicurezza alimentare e al benessere proprio e dei lavoratori; ma questo non significa che sia disposto a pagare di più e se non è adeguatamente informato sulle garanzie offerte dal bio, rispetto ad altri prodotti, può cogliere un messaggio incompleto e rimanere confuso.
A “disturbare” il mercato del biologico, infatti, ci sono i prodotti “parzialmente sostenibili” ma non meglio definiti, né regolamentati, dove l’impegno – seppur lodevole – in direzione della sostenibilità, è soltanto parziale, come prodotti a “residuo zero”, produzione integrata, produzione con riduzione di emissioni, no ogm; per non parlare della concorrenza causata dal fenomeno ormai diffuso del “greenwashing”.
È doveroso sottolineare che il concetto di “sostenibilità” è nato con il settore biologico per definizione, mentre non è vero il contrario: non è stata la richiesta di sostenibilità a spronare e sostenere un tipo di produzione biologica. Anzi, senza l’esperienza maturata con questo metodo produttivo, molti obiettivi di sostenibilità non sarebbero stati raggiunti.
Alla luce di questo, credo che il nostro settore e gli operatori che, come noi, hanno contribuito a farlo crescere fino ad oggi, abbiano il compito di reagire con un senso di responsabilità ancora maggiore, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione. Diventa oggi di assoluta necessità, saper difendere il “marchio originale” di sostenibilità che interessa tutti gli obiettivi definiti in sede Onu. Puntare sulla differenziazione dell’assortimento, rafforzare la trasparenza dei sistemi di tracciabilità e mettere in atto tecniche di processo misurabili, per saper calcolare il proprio apporto in termini di sostenibilità economica, sociale ed ambientale e poterlo comunicare, è fondamentale affinché il consumatore possa avere elementi sufficienti e chiari per poter fare le proprie valutazioni.
Oltre alle aspettative del consumatore, anche la consapevolezza degli agricoltori si è evoluta ed è importante che siano sostenuti dai distributori, adottando uno stile comunicativo in linea con i valori di “non solo business” che hanno fatto nascere la frutticoltura biologica.
Paradossalmente, proprio il momento storico che ci troviamo a vivere può essere un momento decisivo per il settore, in questa fase di crisi climatica e geopolitica, nel mezzo di una transizione culturale, la produzione biologica si conferma la scelta opportuna: rinunciando ad un’agricoltura basata sulla dipendenza dei combustibili fossili, producendo in maniera sostenibile, attraverso un uso responsabile delle risorse, riducendo l’inquinamento, dando un contributo importante per la sicurezza alimentare, creando nuove opportunità per produttori, trasformatori, lavoratori e generando nel contempo un positivo apporto all’intero settore agroalimentare, all’ambiente e alla società.
(* consigliera di FruitImprese Veneto)