(di Carlo Rossi) Il vino nel Mediterraneo? l’abbiamo portato noi e non i Greci. La storia enoica va riscritta e questo grazie all’analisi dei ritrovamenti a Sciacca, in una grotta del monte Kronio, a pochi passi dalle spiagge agrigentine. Il merito va a Davide Tanasi, archeologo specialista del Mediterraneo antico ed esperto di archeologia bio-molecolare e digitale. Per oltre due decenni, ha diretto scavi archeologici in Grecia, Sicilia e Malta dove attualmente dirige progetti di ricerca interdisciplinare sulle origini della dieta mediterranea. Oggi è Professore Associato del Dipartimento di Storia di University of South Florida a Tampa, dove dirige l‘Institute for Digital Exploratrion (IDEx) ed è membro dell’Institute for the Advanced Study of Culture and the Environment (IASCE).
Qual è lo stato dell’arte sulle origini del vino?
Il vino è una bevanda che ha sempre avuto un ruolo centrale nella cultura, società e religione dell’antichità. La capacità del vino di inebriare ed infondere uno stato alterato di coscienza, ma anche di soddisfare il senso del gusto lo ha fatto diventare sinonimo della gioia di vivere. La sua sostanza liquida ed il colore rosso lo ha reso un perfetto sostituto del sangue, che della vita è il simbolo assoluto. Lo studio delle origini del vino, si svolge su due binari paralleli. Da una parte lo studio archeo-botanico, ovvero l’analisi di semi e pollini rinvenuti nel corso degli scavi archeologici, che fornisce l’evidenza della presenza di uva e vitigni ma non offre la prova della presenza di bevande d’uva fermentate. Dall’altra l’analisi chimica dei residui organici assorbiti dai vasi che conteneva vino ritrovati durante gli scavi. Quando possibile, questi dati scientifici vengono supportati da informazioni fornite da autori antichi oppure da fonti storico artistiche come per esempio pitture e affreschi. L’area geografica in cui fino a poco tempo fa si concentravano gli esempi più antichi di vino è quella del Caucaso. Qui, in regioni come l’Armenia, la Georgia e l’Iran settentrionale sono state rinvenute tracce evidenti di vino d’uva, che veniva prodotto in appositi impianti e stoccato in vere e proprie cantine, spesso sia aromatizzato con resine e succhi di frutta o semplicemente puro, databili tra il 4.000 ed il 5.900 a.C.
Perché è importante la scoperta siciliana e che novità sono in arrivo?
La scoperta di residui organici di puro vino d’uva in una grande giara rivenuta nelle profondità del Monte Kronio a Sciacca, in un contesto risalente a 5.000 anni fa, rappresenta la più antica attestazione di vino della storia europea e mediterranea. Un’opinione comune è che il vino sarebbe stato inventato in Grecia, già in epoca preistorica ai tempi della grande civiltà minoica e micenea, e che sarebbe stato successivamente introdotto in Italia al tempo della colonizzazione greca della Sicilia e dell’Italia meridionale, per poi diventare un simbolo della “cultura italiana” durante l’Impero romano. Questa scoperta, cambia completamente la prospettiva e ci informa che il vino venivo già prodotto in Sicilia secoli prima della Grecia e suggerisce proprio l’opposto, ovvero che l’Italia possa aver contribuito a diffondere nel resto dell’Europa e del Mediterraneo la cultura del vino. Questo potrebbe anche giustificare il grande interesse per la Sicilia, una terra che ha ben poche materie prime da offrire per il commercio, dei mercanti micenei che hanno frequentato attivamente la Sicilia nella seconda metà del II millennio a.C. Attualmente stiamo effettuando della analisi di approfondimento sui campioni di Sciacca, per poter isolare e sequenziare il DNA, in modo da poter stabilire quale vitigno o combinazione di vitigni sia stato utilizzata per il vino di Monte Kronio. I risultati di queste analisi potrebbero dare dati sorprendenti, come per esempio l’utilizzo di un vitigno ‘estinto’ o di una inedita combinazione di vitigni.
Parliamo di migliaia di anni fa, come è possibile avere datazioni precise su quanto è analizzato? Che popolo era l’antico viticoltore? Siamo in grado di stabilire se si trattava di un rosso o un bianco?
In archeologia, la datazione esatto di un sito avviene attraverso la tecnica della Datazione al Carbonio 14 di resti organici, che ormai fornisce una approssimazione di 15-30 anni. Nel caso di Monte Kronio, tuttavia non disponiamo di date al Carbonio 14, per cui la datazione è stata effettuata sulla base dello stile delle ceramiche ritrovate, che a loro volta sono comprabili con altre simili provenienti da siti per cui si hanno date assolute. La gente che frequentava il Monte Kronio per motivi religiosi e che depositava grandi giare piene di vino come offerta per le enigmatiche divinità che si credeva vivessero dentro la montagna, erano i Sicani, la popolazioni indigena della Sicilia, descritta della fonte greche come autoctona, ovvero da sempre vissuta sull’isola. Sulla base dei risulti ottenuti con le analisi chimiche sui campioni del Monte Kronio, non sembrano esserci dubbi che si trattasse di un vino rosso.
Come cambia la geografia dello sviluppo della conoscenza della vite nel mediterraneo?
Decisamente la scoperta del Monte Kronio, ha sensibilizzato gli archeologi italiani, che fino ad ora hanno sottovaluto la possibilità di viticoltura e produzione vinaria nell’Italia preistorica sotto la falsa convinzione che questo primato spettasse alla Grecia, verso una ricerca ora più meticolosa di quelle tracce quasi invisibili del vino antico. Senza dubbio molto presto, sarà possibile riscrivere la storia antica del vino, dando all’Italia il ruolo più centrale che merita. L’eccezionale scoperta di semi di vernaccia e malvasia rinvenuti in un contesto di 3.000 anni fa in Sardegna (Nuraghe di Sa Osa di Cabras nell’Oristanese), più antico esempio di viticoltura “industriale” del Mediterraneo occidentale, è un esempio di questo cambiamento di trend.