(di Bernardo Pasquali) Produrre Olio Extravergine di Oliva in Italia può costare fino a 4 volte in più che in altri paesi. Basterebbe questo incipit a sintetizzare il significato dello studio realizzato dal The European House Ambrosetti e Monini. Dati implacabili che testimoniano un comparto obsoleto e, in alcuni tratti, lontano dalla vera sfida europea del Green Deal. A Cibus Forum a Parma si è posto l’accento sulle grandi potenzialità del nostro paese in materia di produzioni di alta qualità. Si è inoltre evidenziato l’annoso problema di un’organizzazione agricola frastagliata, che non dialoga ancora con il mondo accademico e, se lo fa, con grande ritardo e disagio; una diffusa carenza di imprenditorialità e un basso turnover delle competenze. Elementi che colpiscono soprattutto la filiera olivicola – agricola, più che quella olearia, sostenuta da importanti progetti tecnologici di alta qualità.
Un modello a più olivicolture
1,07 milioni di ettari in Italia sono terreni coltivati ad olivo. Di questi , l’80%, sono ancora impianti tradizionali. Solo il 20% impianti moderni e, perlopiù, allevati con sistemi intensivi. Oliveti tradizionali significa, bassa densità produttiva per ettaro, scarsa meccanizzazione e, quindi, una necessità alta di manodopera con costi di gestione elevati. Di questi tradizionali, solo una parte sono oliveti multifunzionali; si tratta di oliveti monumentali che possono rappresentare fonti di guadagno alternative per il loro valore storico, culturale, paesaggistico e turistico. Per aumentare competitività, produttività e redditività, bisogna aumentare le superfici esistenti, trasformare gli oliveti non multifunzionali in nuovi impianti moderni, e tutelare maggiormente gli oliveti veramente di qualità con accezione storica – paesaggistica.
Basta con l’isolazionismo delle Organizzazione dei Produttori
L’annoso problema di fare squadra non risparmia il mondo dell’olio. Il 63% delle aziende olivicole, secondo lo studio The European House – Ambrosetti e Monini, rimangono poco competitive. E’ un dato allarmante! Secondo i dati Ismea, il reddito pro capite annuo medio di un lavoratore del segmento olivicolo è di soli 9000€, l’8 – 10% in meno rispetto a quello del segmento vitivinicolo. sono più di 216.000 i soci nelle varie Organizzazioni di Produttori. Il problema è che questi sono suddivisi in 36 categorie della filiera. Una dispersione incredibile di problematiche e di soluzioni che non saranno mai adeguate ad alcuna di esse. Sarebbero plausibili, secondo Ambrosetti, dei veri e propri Stati Generali della filiera Olivicolo – Olearia.
Bisogna riqualificare gli operatori della filiera olivicola e riprendere rapporti adeguati con il mondo accademico
Esiste una diffusa carenza di imprenditorialità nella filiera olivicola. Un bassissimo turnover delle competenze e un difficile, quasi inesistente rapporto tra la filiera e il mondo accademico. Questo necessita di relazioni più stabili tra Università e Organizzazioni di produttori. Si devono compiere formazioni ad hoc, programmi di aggiornamento, Piani di Sviluppo Rurale orientati alla formazione e al trasferimento tecnologico in ambito agricolo.
Solo il giusto prezzo salverà la filiera olivicola olearia
Siamo alle solite. Costo del lavoro esagerato e perdita di competitività con gli altri paesi mondiali. La filiera annovera 826.000 aziende e il 94% di queste opera nel settore olivicolo con circa 150.000 persone coinvolte e 1,5 miliardi di fatturato. I restanti 3 miliardi sono fatturati da poco più di 10.000 occupati in circa 220 realtà industriali olearie. Si noti la frattura esistente all’interno della filiera tra i due segmenti tra loro contigui. Una volta ammortizzati gli investimenti pagati i salari, al netto dei contributi di sostegno all’agricoltura previsti dalla PAC, il reddito operativo dell’olivicoltore, si attesta intorno al 3,5% del valore al consumo dell’Olio Extra Vergine di Oliva. L’incidenza del costo della manodopera sui costi di gestione di un oliveto si attesta sul 57%.
Solo pagando il giusto prezzo a tutti gli attori della filiera, alzando la redditività, si potranno avere inversioni di marcia anche sul tasto della competitività. Per fare questo giusto prezzo bisogna riuscire a differenziare meglio il livello di qualità del prodotto offerto. Per accertare la qualità servono più controlli di qualità lungo la filiera, stabiliti secondo regole comuni.
Un patto generazionale formativo salverà l’olio italiano
Il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij afferma:”La bellezza salverà il mondo”…ebbene da questo studio emerge in maniera definitiva come solo una strategia formativa, divulgativa ed educativa salverà la nostra filiera produttiva dall’assalto alla diligenza di multinazionali estere. Bisogna che le Organizzazioni di Produttori investano sempre più sulla formazione dei propri olivicoltori e sulla formazione delle nuove generazioni. La World Health Organization afferma che bisogna investire sull’educazione alimentare, una dieta sana, ricca di nutraceutici. Dopo la grave crisi del 2008, la contrazione della spesa alimentare è stata pesante, soprattutto per i prodotti di qualità e lìOlio Extra Vergine di Oliva è stato uno di quelli che ne ha risentito di più. Si investe poco in divulgazione e formazione. Si devono coinvolgere anche altri comparti e fare squadra, ad esempio con il comparto del vino, con le organizzazioni sanitarie che si occupano di dieta e nutrizione.
Da solo il mondo dell’olio non può farcela e l’Italia non può perdere identità in un prodotto così antico e qualificante la nostra storia.