(di Bernardo Pasquali). Il Bosco verticale che si può ammirare al centro della Citylife di Milano è opera dell’Archistar che, da anni, in tutto il mondo, propone una rigenerazione delle città, inglobando sempre di più la natura con gli spazi vitali dell’uomo. Durante l’incontro organizzato con Slow Food Italia, Boeri, ha offerto una sia visione di cosa dovrà essere sempre di più il futuro della convivenza tra uomo e le altre creature viventi. “Abbiamo invaso l’habitat delle altre specie viventi – dichiara l’Architetto – La deforestazione e l’agricoltura intensiva hanno portato ad atteggiamenti aggressivi, superficiali e prepotenti sugli equilibri naturali”.
Da tempo le specie viventi ci davano segnali di insofferenza e già da alcuni anni si sapeva dei cinghiali nelle vicinanze della periferia di Firenze, delle Volpi nelle stazioni di Londra, dei cervi che entrano nelle città del Trentino. “Dovevamo capirlo prima. Questa zoonosi, questo passaggio di specie del virus, indica che l’uomo ha invaso gli spazi degli animali. Non il contrario”.
Ripartiamo dai quartieri autosufficienti
Se vogliamo imparare da questa tragedia bisogna cambiare la vita nelle città. Creare un rapporto diverso con la natura. Devono smettere di crescere occupando suolo permeabile, si devono porrei l problema anche di rigenerarsi al loro interno. Serve una grande opera di verde e forestazione. Serve la visione di una città che lavori su un sistema arcipelago di quartieri autosufficienti, potremo dire “borghi”. È una visione molto importante. Le città nell’Ottocento erano dei luoghi di grande concentramento voluto. Negli ultimi decenni queste strutture collettive sono andate in crisi e con l’ultima pandemia avranno un epilogo. La città dovrà funzionare più per quartieri, con servizi che vanno dal commercio, all’istruzione, alla cultura, all’economia e alla sanità. Accessibili tutti in 10 – 15 minuti. Accessibili con massimo 400 – 500 mt di distanze da percorrere.
Serve una collaborazione tra città e campagna
Il modello funzionale, è quello di una collaborazione tra città e campagna. Questo deve prevedere un abbandono drastico dell’atteggiamento romantico-nostalgico. Non si va a riabitare un borgo come fosse un presepio, un guscio vuoto. Questo atteggiamento nuovo implica un progetto diverso. Un neopopolamento, dove dobbiamo immaginare un’economia che non sia solo di sussistenza, se vogliamo ripopolare questi luoghi. Dobbiamo immagginare una possibilità di connessione attraverso il digitale, una banda larga che sia estremamente efficace. Dobbiamo immaginare anche un sistema di mobilità sul territorio che sia adeguato all’accessibilità a questi centri.
Ripartire dall’agricoltura di qualità
Stiamo pensando ad un ciclo che vede fortemente correlata la produzione agricola di qualità con l’organizzazione del consumo su scala ampia. Da una parte i contadini che forniscono e tutelano la qualità dei prodotti, dall’altra la metropoli che garantisce funzionalità economica alla produzione. Non è quindi una competizione. Vanno di pari passo, devono collaborare.
Da un lato c’è l’esperienza berlinese dei community garden, l’esperienza parigina dei green roof dei tetti di coltivazione, gli orti urbani diffusi in Italia. Oggi si parla di qualcosa di più. Si parla di aree agricole caratterizzate da una forte parcellizzazione, una grande biodiversità che, in qualche modo, sono a cintura dell’abitato o in prossimità della città e che lavorano, in modo molto orientato ai bisogni delle città mondo, con aspettative sul piano del cibo molto variegate.
La GDO dovrà farsi carico dei piccoli produttori di alta qualità per superare il km 0.
La gran parrte dei prodotti dop sono generati nei piccoli centri o comuni. Questa csosa ci deve far pensare, perché vuol dire che la qualità, viene prodotta spesso, da piccoli nuclei di urbanità che hanno rapporti diretti con le aree agricole della campagna, di piccole dimensioni. Bisogna capire come le comunità di agricoltori o contadini possono diventare perfettamente funzionali nel ciclo dell’alimentazione urbana. E qui, non è tanto il km 0 ma è un rapporto diretto che salta i meccanismi della grande distribuzione. Oppure vuol dire, finalmente, una grande distribuzione che si fa carico, in modo non speculativo, del coinvolgimento di un sistema di produttori di piccola dimensione e di grande qualità. Questa è l’altra grande sfida.
Torneranno di moda i piccoli negozi che faranno rivivere le città
Il cibo è un elemento di scambio di convivialità ed è un documento di identità, una componente fondamentale della vita, dello spazio domestico. L’utilizzo degli spazi aperti, come riti collettivi, diventerà sempre più importante. Dobbiamo ripensare l’uso degli spazi che già ci sono nelle città. Se pensiamo alla grande questione dei quartieri autosufficienti. E’ il momento di rilanciare il mondo dei piccoli esercenti. Con questa crisi, abbiamo riscoperto il sistema dei piccoli negozi, il valore della la qualità. I negozi quindi avranno bisogno dei dehors perché i marciapiedi verranno occupati spesso dal macellaio, dal fruttivendolo, molto più di oggi. Quindi serviranno marciapiedi estesi sulle strade. I parcheggi saranno gradualmente eliminati e le vie stradali sempre più pensate con corsie dedicate alle biciclette e le auto elettriche. La città cambierà. I trasporti pubblici dovranno essere più frequenti, perché avranno minor capienza.
La città deve inglobare la natura
C’è un’idea di ecologia integrale, di una visione che integra, all’interno di sistemi che hanno una visione planetaria, tutte le diverse sfere dell’attività umana. Questa è una sfida bellissima.
Abbiamo bisogno di un ministero del legno e dei boschi. La riforestazione sta avvenendo nei centri spopolati. Dobbiamo andare incontro ai boschi. I boschi hanno bisogno degli uomini così come gli uomini hanno bisogno degli alberi in città. Accogliere gli alberi vicini a noi significa bilanciare il rapporto con le altre specie viventi. Sono presenze fondamentali.
Rigenerare le periferie
Dobbiamo progettare la ritrazione del centro urbano. Penso alle città diffuse che oggi vivono con molta difficoltà. Potrebbero essere abbattute e ai proprietari dare la possibilità di andare a ripopolare centri e borghi svuotati.
Ci sono periferie che dovrebbero essere completamente rigenerate; con la sostituzione degli stabili attuali che, nella maggior parte dei casi, sono desueti ed energivori, con nuovi edifici di qualità: sostenibili e accessibili a tutti, in modi più intelligenti. In Italia ci sono 4 milioni di case che andrebbero completamente ricostruite. Si pensi alla formidabile spinta che ciò potrebbe avere sull’economia del nostro paese.